Il ruolo della biologia molecolare nella prevenzione, diagnosi e terapia delle principali cardiomiopatie e nell’individuazione dei fattori di rischio cardiovascolare.
Vi sono ormai numerose evidenze di come la biologia molecolare rivesta un ruolo sempre più importante nella corretta gestione clinica di numerosi pazienti affetti da cardiopatie o portatori di fattori di rischio cardiovascolare.
Fino ad oggi la ricerca si è concentrata su numerose varianti genetiche riguardanti singoli geni ed identificando i genotipi con effetto maggiore sulla predisposizione ad ammalarsi. Sulla base di ciò, le malattie cardiovascolari sono state classificate in forme monogeniche causate dall’alterazione di un singolo gene (alterazioni strutturali del cuore o elettrofisiologiche responsabili della morte improvvisa) che sono di più raro riscontro nella pratica clinica e forme multifattoriali (poligeniche), in cui la patologia è determinata dall’interazione di più varianti geniche e dallo stile di vita (presenza di fattori di rischio) che rivestono un notevole interesse clinico data l’elevata frequenza nella popolazione.
Il valore aggiunto dei test genetici consiste nel fornire un profilo di rischio individuale valutato in maniera oggettiva sul singolo paziente, poter prevedere con buona approssimazione il più probabile decorso clinico della malattia cardiovascolare ed un miglior approccio terapeutico (medicina personalizzata) con una considerevole riduzione in termini di spesa sanitaria nazionale (una cura più efficace). Tra i diversi fattori di rischio cardiaco quello “dell’ereditarietà” non è stato finora adeguatamente considerato.
Dal momento che la maggior parte delle malattie del cuore ha un andamento ereditario prevedibile, mediante specifici esami genetici che indagano sia pannelli cardiologici (predisposizione a malattie strutturali del Cuore od alle canalopatie) che più larghi quadri metabolici (indagine per trombofilia e rischio cardiovascolare che analizza coagulazione, aggregazione piastrinica, ciclo dei folati, predisposizione ad ipertensione e dislipidemie), si può rivelare la predisposizione allo sviluppo di determinate malattie molto prima che esse avvengano.
Un altro aspetto da considerare è la morte cardiaca improvvisa (MCI) che continua a costituire un problema importante sia nella pratica clinica sia nella gestione della salute pubblica. Il contributo della morte improvvisa al totale delle morti cardiovascolari continua a rimanere, infatti, nell’ambito del 45-50%, e quasi la metà di tutti i casi di morte cardiaca improvvisa si verifica come manifestazione iniziale di malattia coronarica o di altre malattie strutturali cardiache.
Ogni qualvolta venga identificata una malattia ereditaria nell’individuo deceduto, i familiari della vittima potrebbero essere affetti dalla stessa patologia ed essere quindi a rischio di morte improvvisa qualora non venisse posta una diagnosi tempestiva e non fossero adottate delle misure preventive. Monitorare attentamente i segni elettrocardiografici ed ecocardiografici delle malattie aritmogene ereditarie sembra essere un elemento fondamentale della pratica clinica che può contribuire ad identificare precocemente i pazienti a rischio di MCI.
E’ importante sottoporsi ad una consulenza genetica in cui lo specialista ricostruisce l’albero genealogico completo ed annota eventuali casi di morte improvvisa o patologie cardiache: i familiari con sintomi che depongono per la presenza di una condizione cardiaca, come sincope, palpitazioni o dolore toracico, devono essere valutati per primi. L’indagine genetica deve essere sempre accompagnata da un adeguato counseling, svolto da un team che comprenda un genetista ed un cardiologo esperto in questa materia: la finalità è quella dispiegare il significato di una malattia genetica, le modalità di trasmissione, il trattamento e le strategie di prevenzione da attuare sulla base delle evidenze disponibili, al fine di promuovere da parte dell’interessato scelte informate e consapevoli, con un adattamento psicologico alla propria condizione di rischio.
Poiché non tutti i geni responsabili sono stati identificati, l’assenza di una mutazione in uno dei geni noti, non esclude la diagnosi. Una positività dell’analisi genetica e cioè l’individuazione di una mutazione causale in un individuo affetto, invece, facilita la diagnosi nei familiari, soprattutto permette di attivare strategie di controllo nel tempo e di prevenzione primaria della morte improvvisa.
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